L’economia circolare, settore che fa dell’Italia uno dei Paesi più all’avanguardia a livello internazionale, viaggia con il freno tirato. A impedire il definitivo salto di qualità è la mancanza di una normativa sul cosiddetto “end of waste”, l’insieme dei processi che permettono di trattare un rifiuto consentendogli di tornare a essere un prodotto, dunque una materia prima seconda. Così le importanti innovazioni e buone pratiche italiane nel riciclo e riuso dei rifiuti, che hanno ispirato l’Ue nell’adozione di un pacchetto di norme ad hoc per regolarizzare il settore, viaggiano a velocità ridotta.
Il 18 gennaio il governo ha ritirato dal Dl Semplificazioni l’emendamento che avrebbe sbloccato le autorizzazioni degli impianti di riciclo che permettono di trasformare i rifiuti in risorse. Tra questi ci sono, ad esempio, quelli che attraverso moderni digestori anaerobici producono biometano dalla frazione organica dei rifiuti, o quelli che trattano i pannolini usati avviandoli al recupero di materia.
«Siamo bloccati in un vero e proprio paradosso», spiega Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club, associazione che insieme a Legambiente chiede da tempo che si approvi al più presto la norma sulle materie prime seconde. «L’innovazione tecnologica, grazie a cui possiamo usare le risorse in modo molto più efficiente e recuperare materia da quelli che consideravamo rifiuti, consentirebbe di fare moltissime cose che promuovano l’economia circolare – prosegue Ferrante – Il problema è che c’è una forbice che si allarga sempre di più tra ciò che potrebbe essere permesso dall’innovazione tecnologica e ciò che, invece, le norme consentono davvero di fare. In pratica, da un lato lo Stato prevede degli incentivi economici per la produzione di biometano, dall’altro lato sempre lo Stato impedisce la realizzazione degli impianti per produrre questo biometano. Ciò accade perché gli enti locali si rifiutano di fornire le autorizzazioni in attesa dell’emanazione del decreto su end of waste da parte del ministero dell’Ambiente che, nel frattempo, continua a non arrivare per le liti interne alla maggioranza. Va anche detto – precisa il vicepresidente di Kyoto Club – che gli enti locali stanno giocando a mascherarsi dietro l’assenza di questo decreto. Nel senso che potrebbero comunque autorizzare gli impianti anche senza il decreto».
L’impasse sulla concessione delle autorizzazioni sta mettendo in difficoltà realtà come Contarina, che in provincia di Treviso ha realizzato insieme a Fater un impianto per il trattamento e il recupero di materia da pannolini, pannoloni e assorbenti igienici. Si tratta del primo impianto al mondo di questo genere, costretto però a stare fermo perché manca il decreto che gli permetterebbe di entrare in funzione. «Siamo stoppati dalla mancanza della specifica di materia derivata seconda per la cellulosa che viene estratta dai prodotti usati che processiamo nell’impianto – racconta Michele Rasera, direttore generale di Contarina – Sull’inserimento del decreto end of waste nel Dl Semplificazioni continuano ad arrivare segnali contrastanti. I danni economici per un impianto da decine di milioni di euro come il nostro sono considerevoli. La cosa più semplice sarebbe far tornare la decisione della concessione delle autorizzazioni alle Regioni. Fino a quando non avremo questo decreto saremo costretti a rimanere fermi».
In una condizione simile si trova il Gruppo Tea, realtà che nel territorio di Mantova fornisce un’ampia rete di servizi pubblici collegati a energia, acqua e ambiente. «Il Gruppo è pronto ad abilitare un impianto di compostaggio già esistente per la produzione di biometano. Ce né assoluto bisogno in Italia, ma al momento i nostri investimenti e la nostra produzione sono bloccati», afferma Anzio Negrini, direttore di Mantova Ambiente del Gruppo Tea.
Stesso discorso anche per il Gruppo Asja, società proprietaria di un impianto che produce biometano dal trattamento anaerobico della frazione organica dei rifiuti. «Fino a quando non verrà chiarito che la produzione di biometano dovrà essere riconosciuta come una fattispecie di end of waste, le amministrazioni competenti potrebbero, sia pure con interpretazioni dubbie, non concedere le autorizzazioni – dichiara Tommaso Cassata, consigliere delegato del Gruppo – In Italia abbiamo una disciplina di incentivazione del biometano destinato alla autotrazione che ormai è compiuta e completa delle procedure applicative. C’è però al momento un vuoto normativo che, in alcuni casi, sta impedendo nei fatti la prosecuzione degli iter autorizzativi».
L’Italia, dunque, non può mettere a frutto investimenti già fatti nell’economia circolare. Spetta ora alla politica il compito di non disperdere questo potenziale mettendo finalmente queste imprese nelle condizioni di lavorare.
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