Mangi una banana, butti la buccia nel contenitore dell’organico e qualche settimana dopo diventerà metano in grado di far viaggiare l’auto. Hera, la multiutility bolognese attiva nei settori rifiuti, gas, acqua e luce, ha aperto a Sant’Agata Bolognese un impianto per la produzione di biometano dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani
(da La Stampa) – Mangi una banana, butti la buccia nel contenitore dell’organico e qualche settimana dopo, proprio quella buccia, ti permetterà di mettere in moto l’auto. Difficile a questo punto chiamarlo rifiuto.
Per il Gruppo Hera, la multiutility bolognese attiva nei settori rifiuti, acqua e luce, dare impulso all’economia circolare rientra tra i principali obiettivi. È così che nasce l’impianto di Sant’Agata Bolognese per la produzione di biometano dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani.
37 i milioni di euro investiti e nessun ulteriore consumo di suolo: la struttura, che fa parte di Herambiente (la società del gruppo che si occupa della gestione rifiuti), nasce infatti su un’area dove è presente una discarica in chiusura e dove esisteva già un sito di compostaggio. I lavori sono iniziati nella primavera del 2017, a fine ottobre 2018 l’inaugurazione, il 12 dicembre 2018 il primo biometano in rete. Ora è circa un anno che l’impianto è a pieno regime.
MA COME SI PASSA DA UNA BUCCIA DI BANANA AL BIOMETANO?
A Sant’Agata confluiscono rifiuti organici da raccolta differenziata da Bologna, Modena e in parte Ferrara. Sono circa 100 mila tonnellate all’anno, a cui si aggiungono 35 mila tonnellate di sfalci e potature provenienti da parchi e giardini.
Il processo che si svolge all’interno dell’impianto è affascinante. Semplificando i passaggi, il materiale in arrivo viene sottoposto a una fase iniziale di pretrattamento. Il rifiuto triturato e vagliato rimane per circa 21 giorni in quattro digestori orizzontali, chiusi ermeticamente, in cui i microrganismi compiono il processo di biodigestione anaerobica producendo biogas che, in un secondo momento, viene sottoposto a raffinazione. Conclusa la fase di upgrading si ottiene il biometano.«Si chiama biometano solo per la sua origine, ma quando viene immesso nella rete Snam, la rete nazionale del gas, deve avere le stesse caratteristiche del metano», spiega Stefano Ghetti, responsabile della business unit compostaggio e digestori di Herambiente. «In un anno siamo in grado di ottenere 7,5 milioni di metri cubi di biometano, combustile rinnovabile al 100%, evitando così il consumo di 6 mila tonnellate di petrolio e l’emissione di 14.600 tonnellate di CO2».
Il biometano prodotto alimenta il trasporto a metano pubblico e privato. Dall’aprile del 2019, a Bologna, quattro autobus e una ventina di taxi viaggiano usando il biometano prodotto da Hera, una iniziativa realizzata con Tper, il servizio di trasporto pubblico cittadino, e il gestore di taxi bolognese CO.TA.BO. Il Gruppo Hera usa il biometano anche per molte delle auto aziendali e gli stessi cittadini, per i loro veicoli, possono fare rifornimento di biometano in quattro diverse stazioni di servizio partner: a Bologna, a Imola e in provincia di Modena.
«L’Italia – aggiunge Ghetti – ha un’ottima rete di distribuzione del gas, questo ci fa pensare che il nostro modello potrà essere replicato in tanti territori».
Quello di San’Agata, confermano da Hera, è infatti «il primo impianto in Italia realizzato da una multiutility per la produzione di biometano dalla frazione organica dei rifiuti su scala industriale».
NON SOLO BIOMETANO, MA ANCHE COMPOST
Alla fine di un ulteriore processo che tratta l’organico solido in uscita dalle fasi di biodigestione anaerobica, dall’impianto di Sant’Agata Bolognese escono anche 20 mila tonnellate l’anno di ammendante compostato misto, un compost che viene destinato all’agricoltura e in parte anche al settore del florovivaismo.
Il biometano dà l’opportunità di ridurre l’uso delle fonti fossili e alleggerire l’impronta energetica, in un’ottica di economia circolare. Nell’impianto di Sant’Agata Bolognese un percorso visitatori accoglie il pubblico e illustra come si svolge l’intero processo.
Un percorso che Hera ha voluto documentare anche attraverso Circular View, progetto fotografico di Silvia Camporesi, rimasto in mostra fino al 24 febbraio a Bologna allo Spazio Carbonesi, nell’ambito di Art City Bologna 2020. Undici fotografie, che riassumono il lavoro di un intero anno: l’artista ha infatti seguito, su commissione dell’azienda, la costruzione della struttura di Sant’Agata Bolognese, raccontando, attraverso il suo sguardo da fotografa di ricerca, l’evoluzione mensile dei lavori e cogliendo le peculiarità architettoniche e la dimensione poetica e suggestiva del luogo.
DA RIFIUTO A
RISORSA: IL CASO ALIPLAST
La ricerca di un modello virtuoso di economia circolare passa anche, nel 2017,
dall’ingresso nel Gruppo Hera di Aliplast, azienda fondata nel 1982 a
Ospedaletto di Istrana (Treviso).
Aliplast trasforma i rifiuti plastici in una risorsa rigenerata dalle
caratteristiche pari a quella vergine.
I numeri sono significativi: sedi operative in quattro Paesi europei (Italia,
Francia, Spagna e Polonia), 90 mila tonnellate di plastica trattata ogni anno,
90 mila tonnellate di prodotti finiti/polimeri rigenerati in uscita ogni anno
tra Film PE, lastre PET e granuli/scaglie, oltre il 90% di recupero/riciclo
rispetto ai volumi lavorati in ingresso, 360 dipendenti e oltre mille clienti.
LE VIE
INFINITE DEL RICICLO
A Ospedaletto di Istrana i piazzali dell’azienda accolgono un mare colorato di
plastica.
Si tratta in parte di balle che raccolgono bottiglie in PET divise per colore
provenienti per il 95% dalla raccolta urbana (vengono comprate da Corepla e
Coripet) e per il restante 5% dai ritiri, per scaduto o altro, che l’azienda
acquista dai grandi produttori di bottiglie, ed in parte di imballaggi
industriali, in polietilene a bassa densità, che Aliplast compra recuperandoli
direttamente dai produttori.
Il materiale raccolto e selezionato viene triturato e successivamente avviato
alla rigenerazione. Viene prodotta una vasta gamma di polimeri riciclati, per
soddisfare le esigenze della industria della trasformazione.
Tra i principali clienti di Aliplast ci sono oggi i più grandi marchi del food
and beverage, dell’arredamento, del distretto italiano della ceramica e
dell’industria dello pneumatico. Un nuovo settore è quello della cosmetica, con
alcuni grandi marchi che stanno cominciando a utilizzare come packaging flaconi
in 100% PET riciclato.
IL SISTEMA
PARI
Aliplast offre un esempio concreto di economia circolare. Gli imballaggi di
Film in polietilene, che l’azienda produce e vende, girano in un closed loop,
che li riporta per la stragrande maggioranza ad essere recuperati e riciclati
dalla stessa Aliplast: questo modello è stato riconosciuto dal Ministro
dell’Ambiente con il nome di sistema PARI (Piano per la gestione Autonoma dei
Rifiuti di Imballaggio).
L’azienda produce infatti imballaggi in polietilene a bassa densità, li immette
al consumo attraverso i suoi clienti e alla fine li raccoglie in quote
superiori al 60% per poi trasformnarli nuovamente in polimeri e nuovi
imballaggi.
PLASTICA E
IMPATTO SULL’AMBIENTE: QUALI SCENARI PER IL FUTURO DEL RICICLO?
Il grande tema di questi ultimi anni è il danno provocato dall’abbandono
nell’ambiente dei rifiuti plastici.
«Ecco perché è importante intercettare questi rifiuti e riciclarli – afferma
Carlo Andriolo, amministratore delegato Aliplast –. Occorre in particolare
potenziare le infrastrutture per la raccolta differenziata nei Paesi in cui non
esistono».
In questo momento in Europa e nel nostro Paese è estremamente difficile
valutare l’impatto di una eventuale diminuzione nel consumo di acqua o bevande
imbottigliate in plastica. «Si tratta di un dato che al momento non ci è noto –
aggiunge Andriolo – ma la percentuale di raccolta differenziata è in aumento e
questo andrà comunque a compensare i possibili cali».
Senz’altro una frontiera che contribuirà allo sviluppo del settore è il lavoro
che stanno facendo diverse aziende nel disegnare prodotti e imballaggi avendo
ben chiaro il processo di riciclo e la necessità di minimizzarne gli scarti.
Leave a Reply