(da qualenergia.it) – Il biometano ha ottime prospettive di diffusione in Italia, ma rimangono diversi ostacoli che frenano la produzione e l’utilizzo di questa fonte energetica rinnovabile.
Questo, in sintesi, il messaggio di una ricerca di Assolombarda sulla filiera nazionale del biometano (allegata in basso), che approfondisce gli strumenti, le tecnologie e le opportunità del settore nel nostro paese.
Ricordiamo brevemente che il biometano può essere prodotto da vari tipi di biomasse (colture vegetali non in competizione con le colture alimentari, scarti agroforestali, effluenti zootecnici) oltre che dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani e dai fanghi di depurazione.
Il principale vantaggio del biometano come risorsa rinnovabile è che il suo utilizzo è programmabile al pari del gas naturale, inoltre è compatibile con le infrastrutture esistenti di trasporto e stoccaggio gas.
Tanto da essere considerato un elemento-chiave per diminuire l’uso di carburanti fossili e decarbonizzare il mix energetico italiano. Nella versione finale del Piano nazionale su energia e clima e al 2030 (PNIEC), il biometano ha un ruolo centrale nelle politiche “verdi” per i trasporti, insieme con l’elettrificazione.
Tuttavia, a fronte di un potenziale produttivo annuo di 8-10 miliardi di metri cubi, si legge nella ricerca, il biometano è ancora ingabbiato da barriere normative e ostacoli sociali.
Innanzitutto, gli autori dello studio di Assolombarda spiegano che (neretti nostri nelle citazioni) “la mancata conversione di impianti a biogas esistenti a impianti per la produzione di biometano, comporta un aggravio sulle bollette elettriche stimato in oltre un miliardo di euro di incentivi annui nonché una generazione di energia rinnovabile poco efficiente a causa del mancato utilizzo del calore risultante dalla cogenerazione (i rendimenti complessivi degli impianti a biogas si attestano intorno al 39%)”.
Con il rischio, si legge nella ricerca, che dal 2027, quando terminerà la maggior parte degli incentivi al biogas, molti impianti saranno dismessi, vanificando gli investimenti già realizzati nei digestori anaerobici.
Invece la normativa, con riferimento anche al prossimo decreto Fer 2, secondo gli esperti di Assolombarda, dovrebbe favorire la trasformazione del biogas in biometano da impiegare in impianti di cogenerazione ad alto rendimento.
Più in dettaglio, prosegue la ricerca, occorre mantenere oltre il 2022 il sistema dei Certificati di Immissione in Consumo (CIC), in modo da “garantire la sostenibilità economica degli investimenti nel biometano”, perché si parla di progetti ad alta intensità di capitale (capital intensive) “caratterizzati da problemi di bancabilità, che non riescono a competere con i bassi costi di produzione del metano fossile”.
Una nota dolente riguarda poi le lungaggini dei processi autorizzativi per allacciare gli impianti a biometano alla rete gas, processi che “devono essere semplificati e velocizzati”.
In particolare, segnala lo studio, “le tempistiche attuali non sono compatibili con la fine del periodo incentivante prevista dal Decreto interministeriale del 2 marzo 2018: il 2022 dovrebbe essere il termine per la presentazione della richiesta di allacciamento e l’avvio delle pratiche, altrimenti il decreto potrebbe ridefinire la scadenza emulando il decreto legislativo n. 387/2003. In ogni caso, i tempi di autorizzazione devono essere certi, per permettere agli investitori di definire un business plan”.
Inoltre, secondo Assolombarda, sarebbe opportuno esentare da vincoli per le autorizzazioni i progetti di conversione biogas-biometano su impianti esistenti (upgrading) e definire le modalità di incentivazione per questo genere di installazioni.
Ricordiamo poi che secondo il Consorzio Italiano Biogas ci sono 20 progetti, alcuni già autorizzati e altri in fase di autorizzazione, per impianti bio-GNL di liquefazione del biometano; il primo dovrebbe entrare in funzione nella primavera 2020.
Resta infine il nodo dell’accettabilità sociale, scrivono gli autori; difatti, termina la ricerca, “le resistenze delle comunità locali dettate dalla diffusione di informazioni non veritiere e distorte costituiscono l’ostacolo più difficile da affrontare”.
Si torna così all’annoso problema della sindrome Nimby (Not in my backyard, “non nel mio cortile”) che in Italia colpisce un gran numero di impianti a fonti rinnovabili, come ha confermato il recente caso del solare termodinamico CSP, tanto osteggiato in Sardegna da far tramontare tutti i progetti in questa nascente tecnologia made in Italy.
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