Bioenergie: importanti prospettive legate all’innovazione tecnologica. Intervista a Vito Pignatelli, Enea
(da resmagazine.it) – BIOENERGIE CONSIDERATE MATURE MA L’INNOVAZIONE CONTINUA“
Il motivo per cui le bioenergie vengono ancora poco considerate, come dimostra il fatto che non sono state inserite negli incentivi del decreto FER 1 per lo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili, è che a volte sono considerate ‘mature’, mentre presentano invece prospettive importanti legate all’innovazione tecnologica”, esordisce Vito Pignatelli, responsabile del Laboratorio Enea di “Biomasse e Biotecnologie per l’Energia e l’Industria”.
“Le bioenergie in Italia in questi ultimi anni sono cresciute moltissimo, nel panorama più generale della crescita delle fonti rinnovabili, anche se il suo contributo è spesso trascurato. È una fonte rinnovabile particolare perché è in grado di produrre energia per tutti gli usi finali, calore per riscaldamento, elettricità, biocarburanti per i trasporti. Le bioenergie danno un contributo importante, pari all’8,7-8,8% dei consumi energetici nazionali, e sarà così anche per il futuro. Né vale la considerazione che le biomasse siano poco considerate nel Pniec, perché bisogna considerare il loro contributo alla luce del fatto che tutti i consumi delle fonti energetiche registrano una riduzione a fronte di un miglioramento dell’efficienza energetica”.
Pignatelli sottolinea che tutta una serie di tecnologie mature, industriali, diffuse e disponibili, “sono in grado di utilizzare come materie prime una vastissima gamma di biomasse, sia residuali (scarti e residui dell’agricoltura, liquami zootecnici, sottoprodotti agroindustriali, frazione organica dei rifiuti urbani), sia provenienti da culture dedicate”.
La filiera delle biomasse legnose, ad esempio “viene utilizzata per riscaldare o per produrre elettricità. Lo zoccolo duro – sottolinea Pignatelli – resta ancora l’uso del legno per il riscaldamento con sistemi purtroppo troppo spesso a bassa efficienza e alto inquinamento, problema che può essere superato utilizzando combustibili più adatti e iniziando a sostituire i vecchi impianti obsoleti con generatori di calore efficienti e moderni. Un processo che va accelerato, tenendo conto che in Italia si fa ricorso ogni anno a 21-22 milioni di tonnellate di legna, per la maggior parte per i consumi domestici, una quantità veramente enorme”.
IL FUTURO DELLE BIOENERGIE? IMPIANTI PICCOLI ALIMENTATI DALLA FILIERA LOCALE
Per la produzione di elettricità da bioenergie, ricorda Pignatelli, si è partiti “con impianti enormi, non cogenerativi e staccati dalle realtà locali, per sfruttare gli incentivi del Cip6. Per un futuro più virtuoso bisogna costruire impianti più piccoli alimentati dalla filiera locale: un impianto di circa 1 MW di potenza elettrica installata può utilizzare al massimo 10-15 mila tonnellate di materia prima. Un esempio virtuoso, premiato in Europa come esempio di sostenibilità, è un impianto da 1 MW costruito a Calimera, in Puglia, che utilizza come combustibile le potature degli ulivi”.
Anche rispetto ai gassificatori per produrre energia trasformando biomasse legnose in gas combustibile, “oggi si punta a realizzare quasi esclusivamente impianti di piccola taglia, anche sotto i 100 kW, che in Italia sono più di 200 e utilizzano biomasse residuali, provenienti soprattutto dalle operazioni di cura e manutenzione dei boschi, per produrre energia”. E la ricerca prosegue.
LA FILIERA DEL BIOGAS DA AGRICOLTURA
Un discorso a parte merita la produzione di biogas, che rappresenta la filiera bioenergetica più vicina al mondo agricolo.”In Italia sono presenti oltre 2.000 impianti, di cui circa 1.700 in ambito agricolo. È importante realizzare impianti di facile gestione e di piccola taglia, in grado di utilizzare direttamente le risorse presenti sul territorio – sottoprodotti e biomasse residuali – senza dover acquisire altre materie prime compresi, come è stato in passato, prodotti destinati all’alimentazione o alla mangimistica, che le ultime e più recenti modifiche della legislazione europea e nazionale rendono oggi non più convenienti”.
Peraltro, il problema di un possibile conflitto cibo-energia si pone anche per i biocarburanti, al punto che l’ultima direttiva europea sulle energie rinnovabili (RED 2) indica come contributo massimo dei biocarburanti prodotti da colture alimentari il 7% del totale delle Fer nei trasporti, con una riduzione progressiva fino all’azzeramento per quelli basati sull’impiego di materie prime con un elevato ILUC (Indirect Land Use Change), come ad esempio l’olio di palma, che dovranno essere progressivamente sostituiti con biocarburanti prodotti da rifiuti agricoli, industriali e urbani.
Fra questi, un ruolo particolare avranno i biocarburanti di ultima generazione, derivanti da biomasse residuali e con caratteristiche molto simili ai carburanti convenzionali che li rendono utilizzabili sia nel settore del trasporto stradale che in quello navale e avio.
Tornando al biogas, sebbene rappresenti una filiera sostenibile, “il punto debole del biogas è che finora è stato utilizzato quasi solo per produrre elettricità e il suo costo di produzione risulta superiore ad altre fonti rinnovabili”.
UPGRADING: DAL BIOGAS AL BIOMETANO
Adesso per il biogas si presenta però una interessante prospettiva, la conversione in biometano mediante un processo di rimozione dell’anidride carbonica (CO2) denominato upgrading. La trasformazione del biogas in biometano permette la sua immissione nella rete di distribuzione nazionale del gas per sostituire il metano in tutti gli usi domestici e industriali, oppure può essere utilizzato nei trasporti. “L’incremento maggiore dell’uso delle biomasse a scopo energetico riguarderà proprio l’uso nei trasporti – dice Pignatelli – con l’obiettivo di accelerare la decarbonizzazione del settore”.
“Ma per aumentarne la quota nei consumi occorre puntare da subito all’impiego del biometano a partire dal trasporto pubblico locale e dal trasporto pesante. In prospettiva, il gas naturale, sia nella forma compressa (GNC) che liquefatta (GNL) – attualmente utilizzato per automobili e autoveicoli pesanti, ma che in futuro sarà impiegato anche per il trasporto navale – è destinato ad essere completamente sostituito, come previsto dal PNIEC, dal biometano prodotto dalla digestione anaerobica”, afferma Pignatelli.
Si tratta di “una miniera diffusa sul territorio: attraverso una moltitudine di impianti di produzione, piccoli e grandi e un upgrade tecnologico, si può arrivare a produrre 8-10 miliardi di metri cubi l’anno di biometano, utilizzando anche la frazione organica dei rifiuti urbani”.
LA FRONTIERA DEL POWER TO GAS
Adesso “la nuova frontiera della ricerca è il Power-to-Gas”: convertire l’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili in gas. Come? L’energia generata da impianti eolici e fotovoltaici e non immediatamente immessa in rete viene impiegata per produrre idrogeno mediante un processo di elettrolisi, idrogeno che può essere addizionato alla CO2, in particolare quella contenuta nel biogas, per ottenere metano, o miscelato direttamente al biometano per migliorarne la qualità.
Enea ha realizzato presso il Centro Ricerche Casaccia un impianto sperimentale per produrre biogas, in grado di aumentare la resa del processo di digestione anaerobica e il contenuto in metano del biogas fino a oltre il 70%, riducendo volumi, tempi e costi di produzione rispetto agli impianti tradizionali.
Adatto per essere alimentato con biomasse cosiddette “povere”, l’impianto è stato messo in funzione con gli scarti provenienti dalla mensa del Centro. Presentando il progetto, Pignatelli ha evidenziato come utilizzando gli scarti alimentari “si riducono i rifiuti e con l’impiego di biomasse povere, si valorizzano economicamente scarti dell’agricoltura o, in prospettiva, si recuperano a fini produttivi terreni degradati o comunque non utilizzabili per l’agricoltura convenzionale”.
Nel prossimo futuro, l’impianto verrà ampliato per sperimentare su scala pilota una serie di innovazioni tecnologiche e di processo per la produzione di biometano e bioidrogeno. In particolare, si prevede di realizzare una copertura con pannelli fotovoltaici, che serviranno sia per alimentare le utenze dell’impianto che per produrre, mediante elettrolisi dell’acqua, una corrente di idrogeno che verrà impiegata in processi innovativi di bioconversione della CO2 contenuta nel biogas in metano.
“Si può parlare nel caso specifico di biometanazione, o metanizzazione biologica, perché la conversione della CO2 in metano è realizzata da particolari microrganismi che si ‘nutrono’ di idrogeno, e a livello di laboratorio stiamo ottenendo ottimi risultati”.
Le difficoltà? “Non parlerei tanto di scarsità di finanziamenti: a rallentare il lavoro di ricerca in questo Paese sono i tempi della burocrazia, delle autorizzazioni, delle forniture, la scarsità di personale”.
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